Live Archive_Su una remota isola del circolo artico, a più di mille chilometri dal Polo Nord
Il 9 giugno 2023 si è svolta l’ottava edizione de La Notte degli Archivi che coinvolge gli archivi di tutta Italia. La Notte degli Archivi, patrocinata dall’ANAI – Associazione Nazionale Archivistica Italiana, rientra nel programma del Festival Archivissima. L’edizione 2023 è stata dedicata al tema “carnet de voyage”.
Su un’isola remota del Circolo Polare Artico, a più di mille chilometri dal Polo Nord, fa parte della serie Live Archive, un progetto dedicato alla diffusione della memoria archivistica in dialogo con la contemporaneità attraverso momenti di condivisione e conoscenza dei materiali conservati, con modalità, temi, contesti e linguaggi dedicati e specifici.
Un’isola? Quale isola? L’isola di Spitsbergen, una delle più a nord che esistano, credo. L’isola è famosa perché è sede del Global Seed Vault, un enorme archivio di semi, migliaia di tipi, per una quantità che supera i due miliardi. Semi, che significa natura, agricoltura, storia, geografia, ecologia, economia, futuro. Gli archivi sono così, tutti, implicano tutti questi aspetti. Tutti gli archivi sono archivi di “semi”. Da qui deriva la responsabilità della scelta. Internet, l’archivio che tende a diventare o ad apparire assoluto, ha scatenato la riflessione sul tema: da un lato la potenzialità di mappa in scala 1 a 1 del territorio, dall’altro coacervo caotico come può apparire anche la realtà. Ma ciò che importa sono i motori di ricerca e le scelte, perché per molti versi ogni archivio, anche Internet, è un’“isola”.
Dunque, ecco il singolare cortocircuito, di quelli che solo l’arte si permette e riesce a realizzare, messo a punto da Silvia Margaria e Gabriella Dal Lago: un’idea di futuro trasmessa con una tecnologia del passato. Ovvero, non solo e non tanto fiducia nell’archiviazione, quanto scommessa in un salto che è quello dell’obsolescenza. È per non essere regressivi, ma neppure fantatecnologici. Diceva Walter Benjamin, ripreso poi da Georges Didi-Huberman così come da Rosalind Krauss, che in una tecnologia che viene sorpassata e apparentemente vanificata da un’altra più innovativa – e lo sa Dio se non è continuamente il nostro caso a un’accelerazione sempre maggiore – può esserci in nuce, si dice anche in germe, una possibilità di sviluppo che prefigura quella che scavalcherà la nuova. Così è accaduto che il diorama, completamente scomparso con la nascita della fotografia, anticipasse a suo modo il cinema.
La proiezione di diapositive, vecchio strumento di serate passate a guardare quelle dei propri viaggi o di famiglia, immagini che ora stipiamo tutti in cartelle sul computer e guardiamo eventualmente a schermo, forse contiene una soluzione che ci permetterà di recuperare la dimensione conviviale, di presenza, di contatto, che si perde con lo schermo. Le due artiste lo suggeriscono aggiungendo drammaturgia alla proiezione, la parola, la voce, il corpo, la performance. Ovvero, facendo da un lato della proiezione un medium, come si usa dire, cioè non solo uno strumento ma una forma che detta le regole dell’opera, e dall’altro aumentandola con la drammaturgia, in modo da dilatare e completare la pura visione di immagini luminose. È un cinema di immagini ferme, un teatro di immagini animate, e altro ancora, non identificabile in una tecnica specifica. Un senza nome che ne troverà uno o diventerà altro prima di averlo.
È il senso anche di queste immagini, di questi semi. Sono diapositive vernacolari anonime, non identificabili né riconducibili a qualche evento noto, scene invece di vita quotidiana, di persone come ce ne sono a milioni in tanti posti del mondo. L’idea è non soltanto di ricordare come la Storia sia composta anche, se non soprattutto – non solo quantitativamente ma qualitativamente –, da microstorie, dalle vite degli individui, e da ciò che in esse le trascende anche, ma inoltre la suggestione di intenderle appunto come i semi di vite a venire. Tanto meno sappiamo di queste persone, di queste storie sconosciute, tanto più contiamo che esse daranno frutti imprevisti. Animate – nel senso proprio di caricate di un’anima – dalle parole della drammatizzazione, sono come i semi ripiantati che danno vita a nuove piantine.
Non nascondiamo che ci sia un aspetto drammatico e apocalittico in questa operazione, ma forse gli ossimori riescono ad andare al di là delle fini provocate. Se la Storia sta andando sempre più inesorabilmente verso la catastrofe, ciò che verrà dopo dovrà sicuramente ripartire, se potrà, da queste immagini piuttosto che da quelle che hanno provocato la caduta. In esse c’è la vita che tornerà: queste figure sono i fantasmi non di ieri ma di domani, la luce che le proietta e da cui sono come attraversate è quella della dimensione in più che chiamiamo futuro. Guardandole una ad una, dobbiamo immaginare altre storie, un’altra idea, un altro carattere della storia. A me sembrano così straordinariamente belle, dello straordinario che intride l’ordinario e che le immagini sanno rivelare, anche inconsapevolmente. Sono piccole scene, situazioni, gesti, sguardi. Forse, viene da pensare, forse la gioia, forse questa bellezza casuale sono il seme del futuro, isole.
Elio Grazioli
The No Carousel è la collezione privata dell’artista Silvia Margaria composta da materiale fotografico analogico vernacolare. È costituito principalmente da diapositive recuperate dalla dimenticanza che l’artista utilizza come ispirazione per la propria ricerca artistica o come parte di opere. L’abbandono e il loro possibile danneggiamento rappresentano la storia di queste immagini che diventano per l’artista uno spazio fertile. È un archivio dedicato a ciò che fa resistenza, ciò che sedimenta malgrado distruzioni e trasformazioni.
Le diapositive di The No Carousel raccontano vulnerabilità, smarrimenti e derive, e sono parte di questo archivio perché sono la conseguenza di una scelta compiuta da qualcuno che ha detto no. È un archivio fragile, proprio perché la sua conservazione è continuamente tesa sul limite tra negazione e affermazione, tra silenzio e narrazione, tra tenere nascosto e mostrare.